Il filosofo, vissuto nel diciannovesimo
secolo, ha dedicato tutto il suo pensiero al monopolio economico-politico del
capitalismo, formulando la dottrina risolutoria "marxista" incentrata
sul comunismo e la lotta del proletariato. Capisaldi del suo pensiero sono
molti scritti filosofici, più importante e rinomato "Il Capitale",
pubblicato nel 1867. Marx ha fin da subito notato la schiavitù del lavoratore,
costretto a produrre a cottimo beni a lui non appartenenti, simbolo dello
sfruttamento dei capitalisti.
"L'economia politica considera come
lavoratore soltanto il proletario, cioè colui che, senza capitale e rendita
fondiaria, vive puramente del suo lavoro, di un lavoro unilaterale, astratto.
Essa può quindi stabilire il principio che il lavoratore deve, come un cavallo,
guadagnarsi tanto da poter lavorare. Non lo considera come uomo nel tempo in
cui non lavora, ma lascia questa considerazione alla giustizia criminale, ai
medici, alla religione, alle tabelle statistiche, alla politica e agli sbirri
dell'accattonaggio."
(Manoscritti
economico-filosofici)
Il lavoratore è considerato una merce; il salario è
il prezzo della schiavitù; il capitale è il risultato dello sfruttamento. Da
ciò deriva l'alienazione dell'operaio rispetto al prodotto del suo lavoro, rispetto
alla sua attività lavorativa e rispetto alla sua stessa essenza d'uomo. Il
prodotto infatti non appartiene all'operaio che l'ha manufatto, bensì al
capitalista che l'ha acquistato, privandolo di qualsiasi soggettività. La merce
è diventata una "cosa", ideata con l'obiettivo di soddisfare i
bisogni della società e il rendimento di capitale. Questo non fa altro che
rinforzare il rapporto conflittuale tra capitalista e operaio basato sullo sfruttamento
da cui se ne deriva maggiore schiavitù. Il lavoro porta quindi all'alienazione
perché, dice Marx, è in funzione del profitto. Da qui la merce, il marchio è
anonimo, individuale, prodotto e consumato senza appartenere realmente a
nessuno; simbolo di sfruttamento e funzione di capitale,
denaro. È anch'esso schiavo del capitalista e della società che necessita di
esso. Il filosofo definisce la merce come “forma elementare di ricchezza
nella società borghese”; a suo parere i beni di produzione industriale che
rimangono nelle mani dei capitalisti non sono merci bensì “prodotti”:
acquistano nominativo di merce solo quando si effettua uno “scambio” con
altri prodotti. Marx definisce il valor d’uso e il valor
di scambio di una merce; il primo dipende dalla qualità del
prodotto, il secondo dalla quantità. Lo scambio, che rende il marchio visibile e noto, sussiste dalla quantità:
non si può scambiare un prodotto con lo stesso, non avrebbe senso, bensì con una
merce differente con l’obiettivo di ottimizzare i prodotti stessi e i valori di
scambio. Sta di fatto che due merci sono permutabili solo
ponendo tra loro un rapporto quantitativo, che prescinde dalle loro intrinseche
qualità; ossia ponendo un rapporto tra i loro valori di scambio. Da
tutto ciò deriva che il valore di una merce e quindi il capitale, dipendono
dalla quantità di lavoro che c’è dietro e quindi dalla fatica del
lavoratore. Così Marx arriva a contrastare
l’alienazione dell’uomo, mostrare la dignità del lavoratore e dare un valore al
marchio prodotto. Marx arriva alla conclusione che
l'origine del problema è la proprietà privata. Per realizzare la disalienazione
dell'uomo bisogna sopprimere la proprietà privata. Ma ciò è possibile solo con
l'instaurazione del comunismo e relativa rivoluzione.
Per un quadro più dettagliato sul pensiero marxista
si rimanda al link:
|
Karl Marx, 1875 |
|
Il Capitale -1867-Newton Editori |